Trump e la crisi terminale del capitalismo: il volto politico della decadenza del sistema

di Alessandro Testa, studioso di questioni filosofiche e teologiche del Centro Studi Domenico Losurdo.

Abstract: Questo articolo analizza la figura di Donald Trump come espressione della crisi strutturale del capitalismo contemporaneo. Attraverso una lettura marxista e gramsciana, il testo mostra come il trumpismo non sia un’anomalia politica, ma la manifestazione della decadenza di un sistema economico e sociale ormai incapace di garantire consenso, sviluppo e razionalità.

1. Il sintomo e la malattia

Donald Trump non è un’anomalia nella storia del capitalismo, ma la sua coerente conseguenza. Chi vede in lui solo un populista rozzo, un imprenditore prestato alla politica o un fenomeno isolato della destra americana, non coglie la portata storica del suo successo: Trump è il prodotto maturo di un capitalismo in decomposizione, un sistema che, incapace di garantire prosperità e consenso, si trasforma in qualcosa di apertamente autoritario e regressivo.

Come Marx spiegava nel Manifesto del Partito Comunista, ogni forma sociale esaurisce la propria funzione storica quando i rapporti di produzione diventano un ostacolo allo sviluppo delle forze produttive. Nel mondo contemporaneo, la contraddizione tra la potenza tecnologica raggiunta dall’umanità e la gabbia della proprietà privata e del profitto è ormai insanabile. La figura di Trump incarna proprio questa tensione: un capitalismo che non riesce più a espandersi razionalmente e si rifugia nella forza, nel mito, nella menzogna.

2. Il capitalismo del consenso e la sua crisi

Per decenni, il capitalismo occidentale ha retto grazie a un duplice equilibrio: benessere materiale diffuso e democrazia liberale formale. Questi due pilastri si stanno sgretolando. La precarizzazione del lavoro, la finanziarizzazione dell’economia e la concentrazione della ricchezza hanno distrutto la base materiale del consenso. Quando il consenso non è più acquistabile, il sistema tenta di imporlo con la forza o con l’ideologia reazionaria. Trump, con il suo nazionalismo aggressivo e la sua retorica anti-élite, non distrugge il capitalismo: lo salva momentaneamente, trasformandolo in un regime di dominio diretto.

3. Il ritorno dell’autoritarismo come fase senile del capitale

Lenin, nell’Imperialismo, fase suprema del capitalismo, mostrava come nella fase monopolistica il capitale tenda a fondersi con lo Stato e a usare la violenza per sopravvivere. Trump rappresenta l’unione organica tra il capitale finanziario e il potere politico, mediata non più dal linguaggio democratico ma da quello autoritario. La ‘trumpizzazione’ è un fenomeno globale: l’intero Occidente produce leader carismatici e reazionari che promettono ordine e grandezza, ma sono in realtà funzionari della crisi.

4. La crisi dell’egemonia americana e la crisi del capitalismo mondiale

Gramsci spiegava che ogni classe dominante mantiene il potere non solo attraverso la forza, ma attraverso l’egemonia: la capacità di presentare i propri interessi come universali. Trump segna la fine di questa egemonia americana. Il suo isolazionismo e il disprezzo per le istituzioni multilaterali mostrano che l’impero non crede più nella propria missione universale. Il declino dell’egemonia statunitense coincide così con la crisi del capitalismo globale.

5. L’irrazionalità come nuova razionalità del capitale

La forza di Trump non sta nella coerenza del suo pensiero, ma nella capacità di incarnare l’irrazionalità sistemica del capitalismo contemporaneo. Un sistema che distrugge il pianeta per profitto e precarizza le masse non può che produrre leader che trasformano la follia in progetto politico. Come scriveva Marx nei Grundrisse: ‘Il capitale è lavoro morto che, come un vampiro, vive solo succhiando lavoro vivo, e tanto più vive quanto più ne succhia.’

6. Dal capitalismo al caos o al socialismo

La crisi che Trump rappresenta è una crisi organica, una di quelle in cui ‘il vecchio muore e il nuovo non può ancora nascere’. Il capitalismo, per sopravvivere, deve distruggere i diritti conquistati e la democrazia stessa. Ma così facendo rivela il proprio fallimento storico. Il futuro può muoversi verso il caos autoritario o verso il superamento rivoluzionario del sistema. Trump è la prova che il capitalismo è giunto al limite storico.

7. Conclusione: il volto nudo del capitale

Quando un sistema non riesce più a nascondere la propria violenza dietro il consenso, il suo destino è segnato. Trump non è la malattia dell’America, ma il suo specchio: la rappresentazione grottesca di un capitalismo che, nel tentativo di eternarsi, si autodistrugge. Come scriveva Marx nel 1844: ‘Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria, tutto ciò che è sacro viene profanato.’ Oggi, a dissolversi, è proprio il capitalismo stesso — e la maschera che indossa si chiama Trump.

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