A FIANCO DEI COMUNISTI E DEL GOVERNO RIVOLUZIONARIO DEL NEPAL!

Il Nepal, circa 30 milioni di abitanti, oltre 147mila km2 (Italia circa 302mila), è un Paese incuneato tra Cina e India e questo dato, da solo, dice della sua importanza geopolitica. In questo Paese, dal ruolo strategico, sino a 17 anni fa tanta parte del potere era ancora nelle mani della monarchia induista, reazionaria e padrona delle terre, dei contadini e del popolo tutto del Nepal. È stato grazie al (seppur composito, maoista e leninista) movimento comunista, che per anni e anni ha guidato il lungo processo di trasformazione sociale, politico e istituzionale, che a Kathmandu, la capitale, è stata abbattuta, nel 2008, la monarchia antipopolare e filo imperialista ed è stata fondata una Repubblica federale parlamentare, che ha trasferito nelle mani dello Stato, sottraendole alle aristocrazie terriere e cambiando radicalmente la vita dei contadini, le terre del Nepal. Le vittorie elettorali di questi ultimi anni della coalizione rivoluzionaria formata dal Partito comunista del Nepal (maoista), dal Partito comunista unificato del Nepal (Cpn-Uml, marxista e leninista) e dal Partito del Congresso Nepalese, hanno non solo portato a termine il processo politico-istituzionale volto a cancellare la monarchia dalla storia del Nepal e costruire un sistema democratico parlamentare, ma anche a lanciare profonde riforme agrarie contro i padroni delle terre e volte agli interessi dei contadini, ad avviare forti politiche di lotta contro le storiche e profonde diseguaglianze sociali e alla redistribuzione socialista della ricchezza, a mettere in campo politiche di sostanziali miglioramenti della Scuola e della Sanità pubblica (a beneficio, soprattutto, delle classi più povere) e, sul piano internazionale, a difendere e rafforzare, innanzitutto dall’influenza Usa e Occidentale, l’indipendenza del Nepal, con significativi moti di avvicinamento verso l’India e la Cina.

È in questo contesto che, in questi giorni, si è scatenata la violenza contro il governo della coalizione progressista, comunista e “congressista”, nepalese. La rivolta in Nepal, che ha causato, allo stato delle cose, almeno 25 morti e circa 300 feriti, che ha causato la terribile morte di Rajyalaxmi Chitrakar (moglie dell’ex premier comunista, del partito marxista e leninista del Nepal, Jhalanath Khanal), che ha portato alle dimissioni del primo ministro comunista, Khadga Sharma Oli, hanno trovato la loro motivazione ufficiale nella decisione delgoverno  di vietare diverse piattaforme di social media , tra cui Facebook, YouTube, Instagram, WhatsApp e X. La misura adottata dal governo di K. Sharma Oli, primo ministro dal luglio 2024, si basava su una sentenza della Corte Suprema del 2023 e imponeva a queste piattaforme di registrarsi a livello locale e di conformarsi alle normative per controllare contenuti e attività illegali. Contro questa decisione del governo hanno reagito i giovanissimi nepalesi (nati tra il 1997 e il 2012). L’intero sistema mediatico Occidentale ha naturalmente e immediatamente condannato e demonizzato la decisione del governo progressista schierandosi a fianco del movimento controrivoluzionario nepalese.

Ma, al di là, del racconto dei media occidentali, quale realtà dobbiamo più profondamente cercare? Quali “altre” voci non allineate con gli Usa e al fronte occidentale possiamo ascoltare?

In verità, tanta parte dei media asiatici, latinoamericani ed africani raccontano un’altra storia, a partire dal rimarcare l’estrema violenza delle manifestazioni, dalla loro ferrea organizzazione, dal riscontro delle tantissime e precedenti “scese in campo” dei social network con le finalità di seminare uno scientifico odio sociale e una chiara e violenta linea antigovernativa e anticomunista, con il palese obiettivo di mobilitare i giovani e giovanissimi (non gli operai, i contadini, non i lavoratori) contro il più avanzato e indipendente governo della storia del Nepal. E tutto ciò di fronte ad un Paese che, racchiuso geograficamente tra India e Cina, si va rapidamente collocando, anche geopoliticamente, nell’area indo-cinese, sfuggendo all’egemonia Usa e Ue.

Molti intellettuali, uomini di Stato e giornalisti del mondo non occidentale (dunque, del mondo) in questi giorni, hanno avanzato una lettura dei fatti nepalesi come quella del grande sociologo e studioso basco Iñaki Gil de San Vicente, che ha chiaramente definito il movimento anticomunista nepalese come “l’ennesima rivoluzione arancione, una ‘rivoluzione’ reazionaria che punta alla caduta del governo comunista e progressista, al ritorno della monarchia storica nepalese e all’entrata, politica, economica e culturale, in Nepal, degli Usa e dell’Occidente capitalista e tutto ciò attraverso l’arma micidiale e mobilitante dei network nepalesi sostenuti, organizzati e pagati dai servizi segreti Usa”.

Un’ affermazione, questa di  Iñaki Gil de San Vicente, che il Movimento per la Rinascita Comunista (MpRC) e Resistenza Popolare (RP) condividono pienamente e che non stentano a far propria, vista la natura imperialista degli innumerevoli tentativi di “rivoluzioni arancioni” filoamericane che hanno preso corpo, negli ultimi anni, in tante parti del mondo: dall’Ucraina alla Bielorussia, dal Venezuela all’Iraq, dalla Libia alla Siria (qualcuno si è dimenticato dell’ “Esercito della Libertà” di 200mila uomini organizzato dagli Usa contro Assad?)  in un’ancor più lunga teoria di tentativi “golpisti” contri i governi volti al socialismo o alla liberazione antimperialista.

E sono queste ragioni, del tutto materiali e razionali, che oggi fanno dire al MpRC e a RP, uniti:

SIAMO A FIANCO DEI COMUNISTI E DEI PROGRESSISTI DEL NEPAL, SIAMO A FIANCO DEL GOVERNO RIVOLUZIONARIO NEPALESE, CONTRO OGNI INTERFERENZA IMPERIALISTA!

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