La risposta della Cina socialista alla guerra mondiale doganale di Trump

di Fosco Giannini

Qual è la risposta della Repubblica Popolare Cinese e del Partito Comunista Cinese alla guerra mondiale dei dazi scatenata da Trump? Per l’immediato tale risposta prevede un rialzo tra il 15 ed il 20% sui prodotti Usa per il mercato interno cinese, sui prodotti energetici vari (tra cui gas e carbone) e sui prodotti agricoli (pollo, soia, sorgo, carne suina e bovina, cotone). Ma la risposta cinese più corposa, strategicamente più densa e “pesante” sul piano internazionale non risiede sul rialzo dei dazi sulle merci statunitensi per la Cina. La risposta più significativa è quella che sta prendendo corpo attraverso il progetto cinese di costruzione di un nuovo mercato, di una nuova partnership libera dall’influenza nordamericana nell’immensa area del Sud-Est asiatico. Strategia che altro non è che un rilancio, un aggiornamento in relazione alla guerra economica di Trump, un’estensione della filosofia di fondo e della prassi della Belt and Road Iniziative, della Nuova Via della Seta che è, peraltro, il cardine anche ideologico della già avvenuta messa in campo e su scala planetaria (attraverso i Brics ed ora i Brics-plus) del multilateralismo in progress, della costruzione della pace attraverso la cooperazione con vantaggi reciproci (win win)  e privi di saccheggi imperialisti tra economie,  popoli e stati.

Cosa è accaduto e cosa sta accadendo per farci affermare che siamo di fronte, per ciò che riguarda la risposta strategica alla guerra doganale imperialista di Trump, ad un progetto cinese di estensione verso l’estremo Oriente della Belt and Road Iniziative? È accaduto che nell’ultimo terzo di questo marzo 2025, per ben due volte nello spazio di una settimana, si sono incontrati a Tokyo il ministro giapponese dell’Economia, dell’Industria e del Commercio (Yoji Muto) con i due omologhi ministri della Cina e della Corea del Sud. A riprova che i due incontri ufficiali abbiano rivestito una grande importanza ed un carattere strategico e che essi siano stati una prima risposta, densa di futuro, alla guerra doganale “trumpiana”, vi è il fatto che tali incontri non siano certo frequenti, dato che l’ultimo – a livello di ministri economici- si era tenuto cinque anni fa, nel 2023. E va certamente notato il fatto, a dimostrazione della non casualità dei summit economici Cina-Giappone-Corea del Sud, che essi si siano tenuti alcuni giorni prima del “fatidico” 2 aprile 2025, giorno di inizio ufficiale della guerra doganale universale “trumpiana” e, ancora, che i due summit si siano tenuti dopo le dure reazioni  e le altrettanto dure minacce di ritorsioni doganali del primo ministro nipponico, Shigeru Ishiba, contro i dazi del 25% che Trump ha promesso contro le auto giapponesi per gli Usa.

Perché le grandi manovre che vanno prendendo forma lungo l’asse Pechino-Tokyo-Seul (peraltro anche conseguenti alla presa d’atto, da parte dell’area “asiatica”, delle modalità imperiali e dittatoriali nordamericane verso l’Ue), dirette alla secca riduzione delle barriere protezioniste Usa e alla delineazione di un Estremo Oriente post americano e persino anti americano, turbano così tanto Washington e l’intero Occidente capitalista?

Per due ragioni.

La prima è data dal fatto che l’attuale iniziativa economica unitaria Cina-Giappone-Corea del Sud non ha nulla di velleitario, ma trova le proprie, solide, basi materiali nel fatto che essa altro non è che la continuazione e forse la possibile e piena concretizzazione di un “cantiere” di libero scambio (il Regional Comprehensive Economic Partnership, Rcep come acronimo) che prese la propria forma iniziale, con sollecitazione de

lla Cina della Nuova Via della Seta, da un accordo-quadro emerso nel 2011 durante il vertice di Bali dell’organizzazione Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico).

La seconda ragione per la quale la triangolazione attiva Pechino-Tokyo-Seul mette i brividi al progetto neo egemonico “trumpiano” è data dal fatto che tale triangolazione ha la possibilità, se non la certezza, oggettiva di trascinare conseguentemente l’intero Asean su di un fronte anti americano, che vorrebbe dire ricollocare strategicamente una potenza (l’Asean) che unisce 15 Stati, 2,2 miliardi di abitanti, (circa un terzo dell’intera umanità) e produce il 30% del Pil mondiale.

Ciò che sta accadendo nell’area Sud-est asiatica fa parte del disegno globale del governo cinese e del Partito Comunista Cinese a guida Xi Jinping: allo storico, ma titanico nella fase data, protezionismo imperialista e al Quinto capitalismo nordamericano che si è stretto attorno a Trump, che utilizza Trump – come da Trump ne è usato – come rampa di lancio per un inedito, spaventoso sfruttamento globale sorretto, guidato dall’Intelligenza Artificiale imperialista, a tutto ciò Pechino risponde con l’allargamento mondiale della Belt and Road Initiative, con la globalizzazione dei Brics-plus, con la concretizzazione del Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep) nel Sud-Est Asiatico e con la Shanghai Corporation (l’Organizzazione intergovernativa costituita bel 2001 e formata da Cina, Russia, Kazakistan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Uzbekistan). In un tutt’uno strategico volto alla vittoria del multilateralismo e al superamento della centralità del dollaro.

Per un disegno planetario inclusivo, segnato dalle relazioni commerciali e la pace e diametralmente opposto alla soluzione “amerikana” del superamento della propria crisi economica ed egemonica attraverso una nuova accumulazione capitalista basata sul protezionismo violento, la guerra economica, il riarmo e la guerra reale. Un disegno, quello cinese, neoumanistico, socialista e totalmente alternativo, in definitiva, al febbricitante, nevrotico, sanguinario, imperialista disegno “trumpiano” del “Make America Great Again” (“Rendiamo grande l’America”). Per un progetto planetario che a partire dalla natura politica, economica e filosofica della stessa Belt and Road Initiative, possa avere invece come slogan “Rendiamo grande la pace attraverso la liberazione dei popoli”.

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