In ricordo e in onore del compagno Massimo De Santi

di Fosco Giannini

Negli ultimi due anni ho avuto l’immensa fortuna (la retorica, quella che molti impropriamente usano, ci indebolisce, cosicché è difficile apparire, come in questo caso, totalmente sinceri) di conoscere Massimo De Santi, scienziato, fisico nucleare, ricercatore internazionale, comunista, militante antimperialista per la pace, sempre in prima linea sia nelle trincee scientifiche che in quelle politiche, nella lotta contro il pericolo della guerra nucleare. Massimo, di Livorno, ci ha lasciati il 14 febbraio scorso, “festa degli innamorati”, e un uomo così colmo di tenerezza e, insieme, di simpatia e ironia arguta ma leggera, innamorato dell’amore, chissà cosa avrebbe detto, come ci avrebbe scherzato sopra, sul quel 14 febbraio ultimo giorno della sua vita, tra la carta vetrata che avrebbe rudemente passato per spianare l’amore piccolo borghese e limaccioso dei baci perugina e l’attrazione che aveva per l’amore in sé, per le compagne della sua vita, per l’ex moglie in Costarica, per i figli, ma anche per gli amici scienziati e intellettuali (tanti: da Piergiorgio Odifreddi a Moni Ovadia a Giulietto Chiesa, che l’ha preceduto nella morte,) i compagni comunisti del suo lungo impegno politico, pacifista, antimperialista.

Si è spento a 81 anni (l’età la leggiamo nei necrologi ufficiali, a chi scrive non è mai sembrato, “ragazzo” com’era, che avesse quegli anni), al Pronto Soccorso, dopo essere accidentalmente caduto, ma con in corpo una già devastante malattia, nella sua casa di Livorno di via Solferino, dove viveva solo, nonostante i tanti legami, affetti e amori dispersi nel mondo, dall’America Latina all’Europa e all’Italia, tutti amori dispersi sì nei continenti ma ognuno nel suo cuore e nella sua memoria, poiché così amava, Massimo, come uno che una volta che ti ama lo fa sempre. E non vado per supposizioni o facile magniloquenza: il fatto è che negli ultimi mesi, specie dopo la diagnosi del suo tumore all’intestino, ho avuto davvero modo di conoscerlo, passando ore e ore al telefono con lui, parlando della sua salute che se ne andava e la morte che arrivava (lui ci scherzava sopra e citando un poeta dell’America Latina, un continente, un mondo che amava tanto, diceva: “Fosco, come sto? La morte viene e i giorni sono i suoi passi”). Ma non perdeva troppo tempo a parlare della propria malattia (ero sempre io a domandargli, dopo le sue “tirate” politiche: “allora, come va?”) che non voleva curare come gli oncologi prescrivevano, terapie oncologiche sempre rifiutate perché, da fisico nucleare, si era convinto – a torto, gli dicevo sempre, anche arrabbiandomi, poiché gli ho voluto bene davvero – che la guerra che avrebbe dovuto combattere il suo corpo così già debilitato contro “i soldati della chemioterapia” che gli sarebbero entrati nel sangue, sarebbe stata una guerra tanto devastante quanto inutile.

Cosicché non tanto del suo tumore che avanzava, si parlava nelle nostre lunghe telefonate, quanto del quadro internazionale, dell’avvicinarsi della terza guerra mondiale, del pericolo  della guerra nucleare (che Massimo dava per certa, nel perdurare di questo contesto mondiale e in questa “tenebra  shakespeariana”, come affermava); si parlava dei suoi antichi ed ultimi amori e del  nostro progetto di costruzione del partito comunista, che Massimo voleva perseguire quanto noi e per questo si era iscritto al Movimento per la Rinascita Comunista, scelta della quale gli saremo per sempre grati per l’intelligenza ed il prestigio che ci ha portati in dono.

Massimo ha avuto una vita professionale e politica così vasta e densa che è impossibile comprimerla in poche righe: figlio di un combattente partigiano, sempre sarà partigiano a sua volta, specie nella lotta contro il nucleare militare; tra i leader del movimento studentesco negli anni dell’università a Pisa, poi docente di fisica, dirigente del reparto del nascente bunker ospedaliero negli anni settanta, dopo la laurea continua gli studi in centri di ricerca sull’evoluzione umana a Roma, per poi lavorare al Ministero della Ricerca Scientifica. Successivamente sarà in Costarica, come docente all’Università della pace. E procede il suo cammino internazionale   sempre avvolto in una nube frenetica di ricerche, analisi sempre più avanzate sul piano fisico-nucleare, di docenze, di studi sempre più segnati dal rapporto tra scienza e senso dell’umano, tra l’universo fisico e spirituale e l’esigenza della liberazione umana. Cosicché, e sulla scorta di questa inclinazione a coniugare la ricerca d’avanguardia nel campo della fisica e le scienze umane, prende sempre più corpo in lui l’impegno civile e politico: dopo la prima guerra del Golfo, Massimo sarà alla guida di una missione di pace in Iraq, poi sarà ovunque, in ogni area del mondo terrorizzata da un conflitto militare, sempre contro l’orrore della guerra, e non da semplice “pacifista”, ma da militante antimperialista. Massimo sarà anche nello Yukatan, in un territorio sul quale, per molti ed importanti studiosi di caratura mondiale, potrebbe essere giunto dall’universo, impattando violentemente con la Terra, quel gigantesco asteroide che provocò la fine dei dinosauri. E sarà inviato, dunque, nello Yukatan per studiare come lì il territorio fosse cambiato e quali ripercussioni energetiche l’impatto del meteorite avesse provocato: uno studioso di livello mondiale, Massimo, che sempre ha, con tutta modestia, collocato il proprio prestigio a fianco del movimento contro la guerra e del movimento rivoluzionario.

Bellissime le parole che per il compagno De Santi, per la sua morte, ha scrittoMaurizio Silvestri: “Buon passaggio Massimo. A quella dimensione della quale tu, come fisico nucleare e ricercatore, ritenevi molto possibile l’esistenza. Probabilmente sei arrivato a quel livello di coscienza al quale ogni uomo dovrebbe aspirare e che mi dimostravi attraverso formule per me troppo difficili da capire. Ma ti credevo. Come a molte altre cose di cui parlavi e che si riconducevano tutte all’energia che anima il mondo conosciuto e, probabilmente, quello del quale ben pochi hanno conoscenza. Perché niente si crea e nulla si distrugge, mi citavi Lavoisier. Qui, in questa dimensione, quella che conosciamo, hai avuto un bel percorso…Ora non ci sei più in questa dimensione. Almeno non sei visibile in questo spazio tempo, come dicevi seguendo teorie avanzate da grandi uomini di scienza: Huygens, Einstain, Newton. L’augurio, per te, per noi, è che quella dimensione esista davvero. Tutto avrebbe un maggior senso”.

La citazione è stata lunga, ma ne valeva la pena. Il compagno De Santi mi chiedeva ogni giorno come andasse il processo di accumulazione di forze per la costruzione del partito comunista, a cui credeva e al quale voleva partecipare. Ma una questione poneva sempre, preoccupato: “Dobbiamo costruire il partito nel fuoco della lotta, non a tavolino, non tra gruppi dirigenti e soprattutto nella battaglia che dobbiamo costruire contro la guerra imperialista, contro la guerra nucleare e per l’uscita dalla Nato!”.

L’ultima volta che l’ho visto, diversi mesi fa, è stato a Barberino del Mugello, vicino a Firenze dove, con la compagna Adriana Bernardeschi, direttrice di “Futura Società”, Marinella Mondaini, filologa, dell’Università di Mosca e Giovanna Baldassari, del MpRC Toscana, presentammo il libro del MpRC “Primi appunti politici e teorici”. Massimo venne da Livorno, ancora in salute e in forma, magro, asciutto, scattante, ben lontano dagli 80 anni che ora gli vengono, post mortem, attribuiti, jeans e camicia a scacchi da boscaiolo, con le tasche piene di intelligenza che distribuiva come caramelle e gli occhi pieni di spirito critico gentile e di simpatia. Intervenne sull’attualità della Rivoluzione d’Ottobre e di come essa prese innanzitutto corpo attraverso la parola d’ordine di Lenin della fine della guerra, dell’uscita della Russia dal conflitto mondiale.

Poi, dopo la malattia, da pochi mesi a questa parte, ho sentito decine e decine di volte Massimo al telefono, la voce sempre più stanca, una voce che non serviva tanto a parlare del tumore, delle strane medicine estratte da erbe latinoamericane alternative alla chemioterapia che voleva assumere, ma soprattutto serviva a chiedere notizie del nostro lavoro politico e a dare indicazioni di lotta per la costruzione del partito comunista. Essendo di Livorno, era peraltro molto interessato a capire come si potesse sviluppare una lotta di massa, non solo portata avanti dalle avanguardie, contro la Base Usa di Camp Darby, situata nella Tenuta del Tombolo del comune di Pisa. “Dalla lotta di massa contro Camp Darby -sosteneva- alla lotta di massa contro le basi Usa-Nato di tutta Italia, affinché la battaglia sociale per l’uscita dell’Italia dalla Nato diventi coscienza popolare”.

L’ultima volta che ti ho sentito, Massimo, era la metà di gennaio, di questo 2025, poche settimane fa: mi avevi detto che avresti fatto del tutto per venire a Roma il 25 gennaio, al Teatro Flavio, all’Assemblea nazionale di Prospettiva Unitaria per il partito comunista. Ti ho chiamato più volte al telefono, nella ressa del Teatro Flavio e durante l’Assemblea: invano, non rispondevi. Ho sperato che le mie chiamate, soffocate dai rumori, non potessero farsi sentire.  Ti ho cercato dappertutto, in ogni angolo e con gli occhi. Non ti ho trovato. Non c’eri, non ce l’avevi fatta.

Ma ti ho pensato sempre, sino a ieri (quando ho saputo della tua morte dal compagno Federico Giusti, del movimento contro la base Usa di Camp Darby) come si pensa a chi si vuole bene davvero e si stima tantissimo.

Sei con me, sei con noi. E ci rimarrai. Come dicevi tu, da fisico nucleare, come parte dell’universo.

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