Quando il cinema ripercorre la memoria storica, costruisce coscienza sociale fa riflettere sull’educazione e l’istruzione senza tralasciare i sentimenti e le emozioni. Gli educatori sono i primi rivoluzionari, perché educare è l’azione più potente per cambiare il mondo; quando si favorisce la libertà interiore, il rispetto e la giustizia si può costruire la coscienza e la lotta di classe: così nascono i rivoluzionari e le rivoluzionarie.
Di Laura Baldelli

“Il maestro che promise il mare” è un film che esprime l’orgoglio catalano: la regista catalana Patricia Front rievoca la storia del maestro catalano Antoni Beinages, trucidato perché comunista, all’inizio delle prime avvisaglie fasciste che precedettero la guerra civile di Spagna; una storia vera raccontata nel libro omonimo di Francesc Escribano, scrittore catalano.
La storia è coinvolgente perché Antoni Beinages fu un vero rivoluzionario comunista: credeva nel potere dell’educazione per costruire la libertà personale e collettiva, credeva nell’uguaglianza, nel rispetto di tutti e soprattutto dei bambini: seguiva le teorie del maestro comunista francese Cèlestin Freinet, coinvolgendo persino le famiglie sottomesse alla perfida Chiesa Cattolica di Spagna ed intimorite dai fascisti.
Le vicende si snodano nella provincia di Burgos in un piccolo paese dove nessun bambino aveva visto il mare, ma la promessa del maestro non venne mantenuta perché i fascisti franchisti, con brutalità, imprigionarono e torturarono il Maestro, facendo sparire il corpo, come fu per tante altre vittime del franchismo.
La narrazione intreccia presente e passato, raccontando un dolore personale e collettivo mai rielaborato; infatti il film parte dalle vicende contemporanee, nate dalla legge “Memoria històrica” del 2007, varata dal governo Zapatero, che favorì la ricerca delle migliaia di vittime mai ritrovate del franchismo; dalle fosse comuni emersero moltissimi resti, di cui per 12410 corpi purtroppo non fu possibile l’identificazione.
La parte migliore è quella che racconta l’intenso legame tra il Maestro e la sua pluriclasse, sfidando le convenzioni del tempo, attirando soprattutto l’ostilità della Chiesa Cattolica che coinvolse le squadracce fasciste per sbarazzarsi di un uomo che insegnava a pensare, a scegliere, a dibattere, al piacere della conoscenza.
L’attore catalano Enric Auquer ci trascina nel mondo della pedagogia della libertà, entrando nel personaggio, restituendoci la postura gioiosa e carica di umana comprensione del Maestro Antoni, deciso a tirar fuori tutto il grande potenziale presente in ogni bambino, come uno scopritore di talenti.
Il film sceglie una narrazione tradizionale, ma la storia è così potente che non sono necessari tocchi di regia da maestri del cinema, la stessa vicenda è un messaggio di resistenza contro ogni forma di repressione fascista ed è un monito sull’importanza della memoria storica.
Antoni Benaiges possedeva una coscienza sociale, educativa, politica e per questo era appassionato al suo lavoro: nel film è sottolineato come nella Spagna ultra cattolica, il Maestro tolse il lugubre crocifisso dall’aula perché la Repubblica si era professata laica, fu un atto rivoluzionario nel piccolo paese di Banuelos De Bureba che gli costò la vita.

Il Maestro catalano praticò la pedagogia rivoluzionaria del Maestro comunista e partigiano Cèlestin Freinet, che proponeva una nuova visione del bambino, non più come soggetto passivo da indottrinare, bensì attivo da stimolare attraverso il contatto con la realtà esterna: nella pedagogia della libera espressione e del confronto i bambini sono chiamati a creare testi su molti argomenti, a stamparli ed inviarli ad altre scolaresche; azioni inaccettabili nelle società autoritarie e nei regimi totalitari come quelli fascisti, in cui la scuola è il luogo della propaganda e dell’indottrinamento.
Antoni Beinares intendeva la scuola come un cantiere aperto, costruiva per i suoi alunni una vita lontana dall’ignoranza, dall’ipocrisia, dal conformismo, ricca di libertà di espressione e dialogo, segnata dalla creatività e dal rispetto.
La pedagogia di Freinet è contraddistinta dalla libertà didattica e nel film rappresenta la vera magia del racconto che cattura lo spettatore. Oggi la libertà didattica sancita dalla Costituzione è sparita dalla scuola italiana, mistificata dai protocolli e mascherata dalla collegialità, che ingabbiano la progettualità dei docenti.
La libertà didattica ebbe la sua massima espressione grazie alla scuola a tempo pieno e a molti maestri e maestre comunisti o quanto meno antifascisti, che furono protagonisti di grandi esperienze, ma il primo ministro dell’istruzione di un governo di sinistra, l’ex comunista Luigi Berlinguer, varò una riforma che a poco a poco gettò le basi per distruggere la scuola pubblica: iniziò riconoscendo come paritarie le scuole cattoliche e private…nessun ministro democristiano aveva mai osato tanto!
Aprì la prima falla della nave, che in molti contribuirono ad affondare e ridurre quello che oggi è diventata la scuola italiana: un relitto dopo lil susseguirsi delle molteplici controriforme della scuola.
Stranamene quest’anno nel panorama europeo sono apparsi film che hanno raccontato la scuola: l’accattivante film di Milani “Un mondo a parte”, il bellissimo film tedesco “La sala professori” ed ora il film catalano; i primi due con modalità e stili differenti, ci mostrano problematiche contemporanee, che non sono solo nazionali o locali, ma abbracciano la società e la scuola, derivazione del neoliberismo, mentre il film su Antoni Benaiges ci racconta com’era bella la scuola intesa come un cantiere aperto dove tutti erano chiamati a cooperare. Cooperazione, parola sparita dal lessico, sostituta con la mistificata “collegialità” che accompagna il clima aziendalistico di competitività che attraversa la scuola italiana; altri ridicoli termini anglosassoni s’inseriscono per nominare le metodologie di moda, perché la lingua del capitalismo e del neoliberismo colonizza la nostra lingua.
Inoltre Berlinguer diede il via alla scuola come “progettificio”, a caccia di finanziamenti UE o di sponsor del mondo finanziario; i progetti europei, come gli Erasmus, sono la grande illusione di creare cittadini del mondo, nella buona e bella UE, ma altro non sono che spostamenti di merce intellettuale funzionale al capitale, che sfrutta cervelli e formazione.
Infatti i nostri laureati sono da anni costretti alla migrazione perché non trovano lavoro e tutti i governi italiani non si sono mai preoccupati della spogliazione sul nostro territorio dei giovani cittadini italiani diplomati e laureati, cioè del nostro futuro come Paese. Vivere e lavorare all’estero viene raccontato come un segno di libertà, pensata come una vacanza, come se un trasferimento non costi sacrifici anche alle famiglie e soprattutto non sempre è una scelta voluta.
Il film sembra che sia stato selezionato per essere visionato nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, ma più che gli alunni dovrebbero vederlo gli insegnanti, che nulla sanno ormai di quello che fu negli anni ’70 e ’80 la scuola elementare/primaria, vero pilastro della scuola in Italia che, grazie alle conquiste sociali dei lavoratori, finalmente mise in atto lo spirito della Costituzione nell’uguaglianza delle pari opportunità sancite dal diritto allo studio.
I docenti di ogni ordine e grado è ora che prendano consapevolezza che non sono più responsabili della propria libertà didattica e di quale direzione ha preso la scuola italiana, soprattutto oggi che si respira il mefitico revisionismo storico, l’autoritarismo sempre più opprimente e diciamolo chiaro: il fascismo.
