La crisi in Medio Oriente e il ruolo della Russia

di Orazio Di Mauro, esperto di questioni geopolitiche e militari; coordinatore MpRC Catania

La crescente instabilità in Medio Oriente, con Israele che sembra oltrepassare i limiti del controllo e gli Stati Uniti incapaci di esercitare un’efficace influenza, rappresenta una crescente fonte di preoccupazione per la Russia. Mosca teme che un’escalation del conflitto possa avvicinarsi pericolosamente alle sue truppe schierate in Siria, esponendola al rischio di un coinvolgimento diretto in un secondo fronte, oltre all’impegno già gravoso in Ucraina. L’allargamento del conflitto tra Israele e l’Asse della Resistenza (composto da gruppi come Hezbollah, sostenuto dall’Iran, e altre milizie sciite) complica ulteriormente la situazione, mettendo alla prova il delicato equilibrio geopolitico che la Russia ha cercato di mantenere nella regione. Fino ad ora, Mosca ha preferito un approccio caratterizzato da un’ambiguità strategica, ma l’intensificarsi della crisi potrebbe costringerla a decisioni difficili che finora ha evitato di assumere in modo esplicito.

Nel contesto mediorientale, la posizione della Russia appare meno marcata rispetto a quella di altri attori internazionali. Gli Stati Uniti, tradizionali alleati di Israele, mantengono un sostegno incondizionato verso Tel Aviv, mentre l’Iran si pone come nemico dichiarato dello Stato ebraico, appoggiando apertamente gruppi come Hezbollah e altre milizie della Resistenza. La Cina, pur aumentando la sua influenza economica e diplomatica nella regione, rimane defilata e meno direttamente coinvolta nei conflitti. La Russia, invece, si trova in una posizione più complessa: da un lato, cerca di mantenere una certa neutralità, dall’altro è profondamente coinvolta nella regione, in particolare in Siria, dove il suo intervento militare ha rafforzato il regime di Bashar al-Assad, suo alleato.

Storicamente, i legami tra Russia e Israele si sono costituiti, risalendo alla fondazione di Israele nel 1948, quando l’Unione Sovietica fu tra i primi paesi a riconoscere il nuovo Stato. Nonostante la presenza di una numerosa comunità russofona in Israele e una forte comunità ebraica in Russia, i rapporti tra i due paesi non sono mai stati privi di tensioni. Durante la Guerra Fredda, Mosca sostenne attivamente i movimenti palestinesi e vari stati arabi, tra cui Siria, Egitto e Iraq, per motivi geopolitici e ideologici. Nonostante questo, la Russia ha continuato a sostenere una soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese, anche se tale prospettiva sembra sempre più irrealizzabile, visto il rifiuto di Israele, indipendentemente dal governo in carica, di accettare un compromesso di questo tipo.

Negli ultimi anni, il coinvolgimento militare russo in Siria (con l’obiettivo di proteggere la base navale di Tartus, unico accesso al Mediterraneo per la stessa flotta russa, e di mantenere Assad al potere), ha reso Mosca un attore centrale in Medio Oriente.  Tuttavia, nonostante il sostegno al regime siriano, la Russia ha mantenuto un atteggiamento pragmatico nei confronti di Israele. In numerose occasioni, Mosca non ha reagito agli attacchi aerei israeliani contro le postazioni di Hezbollah o quelle iraniane in Siria, limitandosi a essere informata preventivamente per evitare incidenti tra le due forze. Questo equilibrio è stato però messo in crisi nel settembre 2018, quando un aereo spia russo fu abbattuto dalla contraerea siriana durante un attacco israeliano, mentre gli F-16 di Tel Aviv si nascondevano dietro l’aereo russo per sfuggire ai missili siriani. L’incidente portò a una grave crisi diplomatica, che fu risolta solo dopo un incontro a Mosca tra una delegazione israeliana di alto livello e i comandi militari russi. Da allora, Israele ha continuato a informare le forze russe prima di ogni attacco in Siria, ma l’episodio ha lasciato profonde tensioni nel rapporto con la Siria che, pur alleata della Russia, ha dovuto ingoiare l’amara pillola della mancata protezione russa contro le incursioni israeliane.

Parallelamente alla gestione dei rapporti con Israele, la Russia ha mantenuto una posizione ufficiale nei confronti della questione palestinese, riconoscendo l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) come legittima rappresentante del popolo palestinese. Tuttavia, Mosca è consapevole del fatto che l’ANP è fortemente condizionata da Stati Uniti e Israele, e molti osservatori la considerano un’entità che collabora con l’occupazione israeliana, soprattutto nella repressione della Resistenza in Cisgiordania. Nonostante ciò, la Russia ha mantenuto anche legami diplomatici con i gruppi della Resistenza palestinese, sebbene a un livello relativamente basso. Recentemente, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha definito l’attacco palestinese del 7 ottobre un “atto terroristico”, pur criticando duramente le successive rappresaglie israeliane a Gaza e in Libano.

Questa ambiguità diplomatica, che finora ha permesso alla Russia di muoversi agilmente nel complesso scenario mediorientale, potrebbe non essere più sostenibile se il conflitto tra Israele e l’Asse della Resistenza dovesse intensificarsi ulteriormente. Il recente accordo strategico tra Mosca e Teheran, che posiziona l’Iran come leader dell’Asse della Resistenza, riduce significativamente i margini di manovra della Russia. Se il conflitto dovesse degenerare in una guerra regionale su vasta scala, coinvolgendo gruppi come Hezbollah e altre milizie sciite appoggiate dall’Iran, la Russia potrebbe trovarsi costretta a prendere una posizione più chiara, abbandonando quella neutralità che ha cercato di mantenere fino ad ora.

Inoltre, la presenza russa sul Golan, nei pressi del confine con i territori occupati da Israele, rappresenta un altro elemento di vulnerabilità. Recentemente, le forze russe hanno stabilito postazioni di osservazione congiunte con l’esercito siriano in questa area strategica, che potrebbe diventare un punto di passaggio per un’eventuale penetrazione israeliana in Libano o per il transito delle milizie sciite irachene in aiuto di Hezbollah. Se il conflitto dovesse espandersi ulteriormente, la Russia non potrebbe più limitarsi a essere spettatrice e sarebbe chiamata a prendere decisioni difficili su come bilanciare i suoi interessi in Medio Oriente, i rapporti con Israele e la sua alleanza crescente con l’Iran.

In conclusione, la voluta ambiguità russa in Medio Oriente sembra sempre più sul punto di doversi, in qualche modo, risolvere. Se il conflitto tra Israele e l’Asse della Resistenza dovesse esplodere a livello regionale, Mosca si troverebbe inevitabilmente di fronte a una scelta difficile, che potrebbe avere profonde ripercussioni sulla sua politica estera e sugli equilibri geopolitici della regione. Con una forza militare di 1,5 milioni di uomini e meno della metà impiegata in Ucraina, non è escluso che Putin possa decidere di impegnare una significativa parte del suo esercito, fino a 500.000 uomini, in un nuovo conflitto in Medio Oriente, se la situazione lo richiedesse, seguendo una tradizione già vista in passato. Non è escluso che si ripeta lo scontro diretto tra la Russia e Israele, come avvenne tra il 1967 e il 1970 con l’importante e poco conosciuta guerra d’attrito tra l’allora URSS ed Israele.

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