di Fosco Giannini, coordinatore nazionale del MpRC

Si è tenuto a Washington, dal 9 all’11 luglio ultimo scorso, il 75° vertice della Nato. In questa fase di inasprimento continuo dell’attacco politico-militare imperialista alla Russia e all’intero fronte internazionale multilaterale, nessun summit si conclude con scelte liturgiche o retoriche, e tantomeno di carattere liturgico è il Documento finale uscito dal 75° vertice di Washington. A far da cornice ideologica al Documento finale è stata l’affermazione di Jens Stoltenberg, che dopo 10 anni lascerà la guida della Nato, passando le consegne ad un altro guerrafondaio di provata fede servile agli Usa, l’olandese Mark Rutt, già leader del VVD olandese, partito di destra, conservatore e liberista. Ha dunque scandito Stoltenberg durante i lavori del summit Nato: “Le decisioni che oggi assumiamo sono quelle che più interpretano lo spirito della Guerra Fredda e tra quelle della nuova Guerra Fredda le più importanti”.
Sono 4 i punti salienti del Documento finale di Washington:
-l’Alleanza Atlantica, dall’11 luglio 2024, stanzia un nuovo finanziamento all’Ucraina nazifascista per 40 miliardi di euro, da spalmare tra tutti i paesi dell’Alleanza, compresa naturalmente l’Italia, che parteciperà attraverso nuovi tagli alla sanità pubblica, alla scuola e al lavoro (questione che dovrebbe far capire a tutti, anche a coloro che non comprendono quanto pesi sul piano sociale la guerra Nato contro la Russia, quanto sia forte il rapporto tra militarizzazione imperialista e attacchi alla sanità pubblica e all’intero welfare);
– viene ratificato il “percorso irreversibile verso la piena integrazione euro-atlantica, compresa l’adesione alla Nato”, da parte dell’Ucraina e si sostiene “pienamente il diritto dell’Ucraina di scegliere i propri accordi di sicurezza e di decidere il proprio futuro, senza interferenze esterne”;
-i 32 paesi dell’Alleanza, in coordinamento con il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, decidono di istituire la Nato Security Assistance and Training for Ukraine (Nsatu) “per coordinare la fornitura di equipaggiamento militare e di addestramento”, ma senza coinvolgere direttamente l’Alleanza Atlantica nella guerra contro la Russia. “La Nsatu, che opererà negli stati alleati, sosterrà l’autodifesa dell’Ucraina in linea con la Carta delle Nazioni Unite” e, “in base al diritto internazionale, non renderà la Nato parte in causa nel conflitto”. Una (seppur parziale) novità, questa emersa dal vertice di Washington, che da una parte conferma e rafforza l’aiuto militare della Nato all’Ucraina, ma cambiando nome all’assassino, formalmente non colloca direttamente la Nato sul fronte di guerra contro la Russia;
– nel Documento finale si accentuano pericolosamente i toni di guerra contro la Cina, invitata duramente a non schierarsi con la Russia e a non aiutare Mosca, pena un severo ripensamento strategico della Nato nei confronti di Pechino.
Rivelatrici, improvvide e davvero di stampo guerrafondaio, le dichiarazioni del ministro italiano degli Esteri, Taiani, al summit Nato, secondo le quali affermazioni “la Nato terrà aperte le proprie porte all’Ucraina sin dopo la fine della guerra”, dichiarazioni apparentemente “normali” ma che in verità rappresentano un colpo preventivo ad ogni trattativa di pace, ad ogni suo inizio, poiché tolgono a priori dall’eventuale tavolo di pace la questione, a ragione ritenuta centrale dalla Russia, della neutralità dell’Ucraina e della sua rinuncia a trasformarsi in quella gigantesca Base militare Nato ai confini russi e nel cuore dell’Eurasia che è il progetto strategico stesso degli Usa, della Nato e dell’Ue.
Il primo risultato pratico, proveniente dal summit Nato, per l’Italia, è la decisione del governo Meloni di aggiungere alla quota italiana da versare per i 40 miliardi complessivi che i paesi dell’Alleanza Atlantica devono “girare” a Zelensky, l’invio in Ucraina dei missili “Storm shadow” e altro ingente materiale bellico. E come se ciò non bastasse ad ottenere il plauso degli Usa e della Nato, il governo Meloni ha aggiunto anche la decisione di rafforzare la Base militare nordamericana di Vicenza con l’invio di una batteria di missili V-Shorad, capaci di aumentare la potenza di fuoco contro la Russia da parte della stessa Base di Vicenza. E niente come questa totale genuflessione del governo Meloni agli Usa e alla Nato ci dice come il processo di sussunzione della destra reazionaria italiana nel campo imperialista, nelle politiche liberiste dell’Ue e nello stesso mondo ideologico liberista, vada celermente avanti. Naturalmente, il governo Meloni non è l’unico che abbia servito gli Usa con i panni del cameriere. Di fronte alla tendenza a gridare al fascismo per salvarsi l’anima, il Pd, il M5S, Articolo 1, +Europa ed altri hanno partecipato a quel governo Draghi, in carica dal 13 febbraio del 2021n sino al 21 luglio 2022, che licenziò ben 5 decreti, a fronte dei 4, sinora, del governo Meloni, atti ad inviare armi a Kiev.
Nel clima di rinnovata Guerra Fredda che anche il summit Nato di Washington di questo luglio 2024 ha sancito, occorre sottolineare un aspetto di particolare gravità: il ritorno alla proliferazione dei missili americani in Europa. Tra le conclusioni più strategicamente pesanti del summit vi è sicuramente quella del 10 luglio tra Germania e Usa in cui si annuncia la ricostituzione di “unità multiforze” che contempleranno l’istallazione di missili americani a lungo raggio con testate convenzionali sul territorio tedesco entro il 2026: SM-6, Tomahawh e, ad aumentare la minaccia contro la Russia, i nuovi missili ipersonici, “più potenti di quelli già posizionati nelle Basi europee”, come si afferma nel Documento finale del summit Nato. Il ritorno dei missili Usa sul territorio europeo, che ancor più spingono l’Europa alla guerra, collocandola sul fronte “privilegiato” dell’attacco e della ritorsione, nella guerra, della Russia, trova le sue basi materiali nel ritiro di Washington dagli Accordi internazionali e dal Trattato relativo alle “Intermediate Nuclear Forces” (Inf) del 2 agosto 2019, artificiosamente motivato dall’accusa contro Mosca di non rispettarlo e dalla “mancata presenza” della Cina. In verità il ritiro degli Usa dal Trattato Inf ed il conseguente ritorno dei missili americani in Europa si materializza all’interno del nuovo atteggiamento di guerra degli Usa relativo al cambiamento dei rapporti di forza internazionali a sfavore del fronte imperialista causato dalla titanica crescita economica, politica e militare cinese, dalla stessa tenuta militare della Russia di fronte all’attacco strategico della Nato e dall’allargamento sul piano planetario dei Brics: il timore degli Usa di perdere la propria egemonia mondiale e il possibile passaggio da un mondo unipolare ad uno multipolare è la causa reale della nuova linea di guerra totale degli Usa e della Nato e, dunque, anche della ricollocazione dei missili Usa in Europa.
Il Trattato Inf era stato firmato da Usa e Urss nel 1987 per eliminare tutti i missili nucleari e convenzionali, balistici e da crociera, in grado di colpire in un raggio compreso tra i 500 ed i 5.500 chilometri. Al momento della sua applicazione, Usa ed Urss avevano distrutto un totale di 2.962 missili, di cui 72 Pershing, 108 Pershing II balistici e 48 missili da crociera collocati nell’allora Germania ovest. Il ritorno dei missili americani in Germania, un ritorno che contempla diverse qualità di missili ma soprattutto i missili ipersonici chiamati “Dark Eagle”, capaci, per la loro potenza ed il loro vasto raggio d’azione, di riproporre lo “scudo americano” in Europa in funzione anti-russa, ratificano, insieme, la fine dell’era del disarmo ed il pieno rilancio della guerra strategica della Nato contro la Russia, primo passo verso la guerra contro la Cina, già peraltro esattamente delineata dal sanguinoso “Documento di Carbis Bay” emesso dal summit del G7 in Cornovaglia del 2021, e già largamente praticata con le provocazioni strategiche Usa a Taiwan.
Naturalmente, le strategie di guerra americane rappresentano i più sofisticati progetti a lungo termine che gli Usa (incapaci, disinteressati e contrari ad applicare queste qualità progettuali all’interno del loro paese, segnato da terribili contraddizioni sociali, da miseria di massa, dal razzismo, dalla totale mancanza di una politica pubblica della casa, dall’assenza della sanità pubblica e dello stesso “social status”) siano capaci di mettere in campo. Da anni, ad esempio, il Pentagono lavora fianco a fianco (nell’ottica di riarmare la Germania, di farla uscire dalla sua – troppo lunga, per Washington – neutralità, ricollocandola sul fronte più avanzato della guerra strategica contro la Russia) con Armin Papperger, uno dei più lucidi ed esperti strateghi della geopolitica tedesca e, soprattutto, amministratore delegato della Rheinmetall, ossia della più grande azienda di armi tedesca. Sotto la spinta americana, ulteriore segnale della concezione Usa dell’Europa quale nuovo e totale soggetto di guerra contro la Russia e quale futuro terreno di scontro militare nell’attacco Nato contro la Russia, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, praticando la politica epocale indotta da Washington di Zeitenwende (riarmo tedesco) ha da tempo individuato in Armin Papperger il “costruttore” degli armamenti (munizioni e tank, per ora) da inviare in Ucraina. Per una produzione bellica dell’azienda Rheinmetall che, proprio grazie alle forniture militari per Zelensky, ha visto negli ultimi anni passare il valore delle proprie azioni dai 90 euro precedenti agli attuali 500 euro. A dimostrazione di quanto la Germania abbia abbandonata una propria, autonoma, politica nazionale per genuflettersi anch’essa agli Usa, avviando una totale politica di Zeitenwende, basta ricordare un fatto recente: il cancelliere Scholz annuncia un piano di 100 miliardi di euro per il riarmo, Papperger si reca presso il Ministero della difesa tedesco convincendo il governo tedesco che quel piano di investimenti è troppo basso rispetto alle esigenze militari della Germania (americanizzata), un ragionamento dello stratega geopolitico che non solo giunge al potenziamento degli investimenti militari, ma come premio ottiene la possibilità che la Rheimettal possa aprire in Ucraina una grande fabbrica di munizioni per l’artiglieria. Decisione tedesca, peraltro, che suscita l’ira russa, che immediatamente e giustamente definisce la nuova fabbrica tedesca in Ucraina “un obiettivo militare legittimo”.
In questo contesto è del tutto evidente che la guerra che la Nato (giorno dopo giorno, summit Nato dopo summit Nato, trasformazione di un paese europeo dopo l’altro – dalla Svezia alla Germania, dalla Finlandia ai paesi baltici – in avamposti di guerra) prepara in modo certosino quanto spietato contro la Russia, collocando al fronte l’intera Europa e salvaguardano gli Usa e il territorio americano dallo stesso conflitto, diviene la questione centrale per i comunisti, per le forze antimperialiste e per quelle della pace. Come diviene la questione centrale la costruzione di un movimento di massa contro la guerra imperialista e contro la Nato.
In Italia, ma non solo, vi sono forze, anche comuniste, anche di “sinistra”, che non capiscono, o per atavico antisovietismo o per nuova russofobia, che un’eventuale sconfitta di Putin nella guerra della Nato contro la Russia favorirebbe in modo enorme e gravissimo il ritorno ad un’egemonia Usa nel mondo, muterebbe di nuovi i rapporti di forza internazionali a favore del fronte imperialista, metterebbe all’ordine del giorno della storia l’attacco militare Usa, Nato e Ue contro la Cina, trasformando definitivamente l’Ue in un polo neoimperialista non solo liberista ma totalmente reazionario.
Occorre riflettere: oggi assistiamo, in Europa, al tentativo – che va, peraltro, ampiamente riuscendo – condotto dal potere politico/ideologico dell’Ue per mano del grande capitale transnazionale europeo, volto alla sussunzione nell’ordine ideologico liberista e filo americano dell’Ue delle forze di destra e reazionarie europee (a partire dai Fratelli d’Italia e dal governo Meloni, sempre più longa manus di Washington, della Nato e di Bruxelles, ma il tentativo di trasformazione ideologica e politica è già iniziato anche con Marine Le Pen). Se la Russia perdesse la guerra lanciatagli contro dalla Nato, il potere ideologico e politico dell’Ue, in un contesto internazionale e continentale spostato decisamente a destra in virtù della stessa sconfitta della Russia, spingerebbe Bruxelles a riconsiderare il proprio progetto di trasformazione delle nascenti destre reazionarie europee in nuovi bastioni liberisti, operando invece nel senso opposto, favorendo, cioè, la loro piena maturazione come forze sempre filo imperialiste ma, anche, più conseguentemente fasciste.
La questione della guerra della Nato contro la Russia, ripetiamo per sistematizzare la riflessione finale, è quella, senza possibilità di ripensamenti e gerarchizzazione delle questioni, centrale. Quella che i comunisti e le forze antimperialiste e rivoluzionarie debbono mettere al primo posto di ogni analisi, di ogni lettura dello stato delle cose, di ogni contraddizione di fase.
Per questo motivo i comunisti sono e debbono essere particolarmente preoccupati dal fatto che nel Programma del Nouveau Front Populaire, che ha vinto le recenti elezioni in Francia, vi sia una totale solidarietà all’Ucraina nazifascista di Zelensly e una netta contrarietà alla Russia. Una linea che inquina la stessa, importante vittoria anti lepenista e rafforza la Nato, le politiche di riamo verso Kiev e la strategia Usa di trasformazione della Germania e di tutta l’Ue in avamposto della guerra Nato contro Mosca.
Non è su questa linea che dovranno muoversi invece comunisti italiani, che di fronte al pericolo sempre più verosimile di una terza guerra mondiale a conduzione Nato, dovranno duramente lavorare per mettere in campo una nuova e più forte organizzazione comunista unita e conseguentemente antimperialista che possa offrirsi come cardine per la costruzione di un più vasto fronte di lavoratori e di popolo contro la guerra e per l’uscita dell’Italia dalla Nato.
