Fallimento della conferenza-farsa “per la pace in Ucraina”, riprendere la lotta per la pace e contro le guerre dell’imperialismo.

Si è conclusa con un clamoroso fallimento la cosiddetta “conferenza per la pace” in Ucraina, svoltasi a Bürgenstock, Svizzera, il 15 e 16 giugno scorsi, raccogliendo la richiesta dell’Ucraina, che aveva avanzato una proposta contenente l’indicazione di un format di discussione del tutto paradossale: una conferenza internazionale, sulle questioni della pace e del superamento della guerra nel Paese, sostanzialmente collegata alle iniziative del mondo occidentale e dei Paesi Nato nel supporto allo sforzo bellico del governo di Kiev, e che, sin dalla sua premessa, non prevedesse la partecipazione della “controparte”, la Federazione russa.

Una “conferenza di pace” la cui piattaforma non sarebbe potuto essere più strumentale e, perfino, surreale, al punto da pretendere di cancellare il diritto di autodeterminazione delle popolazioni interessate (basti ricordare almeno il referendum sull’autodeterminazione della Crimea del 2014, con il 95% di voti favorevoli e una partecipazione al voto superiore all’84%; il referendum per l’autodeterminazione della Repubblica popolare di Donetsk, con il 79% di voti favorevoli e una partecipazione al voto del 72%; e il referendum per l’autodeterminazione della Repubblica popolare di Lugansk, con l’86% di voti favorevoli e una partecipazione al voto addirittura pari all’81% della popolazione); e al punto da richiamare in maniera del tutto ipocrita la Carta delle Nazioni Unite, dimenticando il precedente della dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo (2008) e della sua separazione di fatto dalla Serbia all’indomani dell’aggressione imperialistica portata avanti dalla Nato contro la Jugoslavia (e a dispetto della vigenza della risoluzione vincolante del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1244 del 1999), nonché le continue provocazioni e minacce, dirette e indirette, legate all’espansione della Nato nell’Est Europa e, sempre più minacciosamente, a ridosso dei confini della Federazione russa, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la cessazione del Patto di Varsavia nel 1991. 

Così, delle 160 delegazioni invitate alla “conferenza”, solo 78 Paesi hanno poi firmato il documento finale: Brasile, India e Sudafrica (la Russia non era stata invitata e la Repubblica popolare cinese non ha ovviamente partecipato), ma anche Messico, Armenia, Bahrein, Indonesia, Arabia Saudita, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti, e altri ancora, non hanno sottoscritto il documento, sancendone così, a tutti gli effetti, il fallimento. I BRICS, i protagonisti dell’emergente mondo multipolare, Paesi e popoli del vasto Sud globale, che ben conoscono le violenze e le brutalità dell’imperialismo e del colonialismo, non seguono le pretese e i diktat delle sempre più declinanti e (proprio per questo) aggressive potenze occidentali. Chiari sono infatti gli appetiti e le mire dell’imperialismo, anche sul piano economico e finanziario, tanto è vero che alla conferenza sulla ricostruzione, conclusa a Berlino lo scorso 12 giugno, erano presenti oltre 70 Paesi e oltre 500 aziende per spartirsi la torta di una ricostruzione che può mobilitare un volume di affari stimato in almeno 411 miliardi.

Insomma, il vertice-farsa ha rappresentato un tentativo di “peacewashing” e il suo esito si è rivelato del tutto fallimentare. Come richiamava viceversa la piattaforma cinese del 24 febbraio 2023, riprendere i colloqui di pace, abbandonare la mentalità da guerra fredda e respingere i “due pesi, due misure” (la logica occidentale del double standard) sono il punto di partenza inevitabile per una effettiva prospettiva negoziale e di pace. Su questi temi, tutte le forze democratiche e di progresso, e in primo luogo i comunisti e le comuniste, non faranno mancare il loro impegno unitario, nel rafforzare ed estendere il movimento di lotta per la pace e contro le guerre dell’imperialismo, nel promuovere e rilanciare iniziativa e dibattito, informazione e sensibilizzazione.

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