Il MpRC e  «Futura Società» aderiscono al Campeggio Internazionale contro il G7 che si terrà a Frassanito (Lecce) dal 12 al 16 giugno

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In occasione del G7 Italia 2024 una rete internazionale di associazioni, movimenti, partiti è impegnata nell’organizzazione dell’“International People’s Camp No G7”, che si terrà dal 12 al 16 giugno a Frassanito (Otranto, Lecce). Il Campeggio (promotori: Salento per la Palestina; Udap-Unione democratica Arabo Palestinese; Union of Palestinian Communites and Organizations-Europe) è di grande interesse poiché, insieme, rappresenta una fase di lotta dal carattere antimperialista e un’occasione di dibattito, studio, approfondimento di temi centrali per la costruzione della coscienza antimperialista e anticapitalista. Durante il Campeggio,  infatti, saranno aperti diversi Tavoli di discussione collettiva, che affronteranno temi che andranno dalle questioni internazionali a quelle dell’ambiente e del clima, passando da quelle del Lavoro a problematiche come quella della “nuova” repressione delle lotte nei paesi ad alto sviluppo capitalista, come l’Italia.

Il MpRC e il suo giornale, «Futura Società», hanno aderito ufficialmente al Campeggio di Frassanito del 12/16 giugno 2024 e parteciperanno con alcuni loro intellettuali, dirigenti, redattori e redattrici ai Tavoli di discussione (sinora: Federico Giusti al Tavolo della “Repressione”, Alessandra Ciattini a quello su Ambiente e Clima, Vladimiro Merlin a quello sulle questioni del Lavoro e Geraldina Colotti a quello sull’America Latina).

Di seguito pubblichiamo l’intervento che al Tavolo sulle questioni della “nuova” repressione ha già inviato il compagno Federico Giusti a nome del Comitato No Camp Darby di Pisa.

Contributo alla discussione al Tavolo sulla “Repressione” “La ordinaria repressione dei pacchetti sicurezza”

A cura del Comitato No Camp Darby Pisa

Parlare oggi di repressione è fin troppo facile se ci limitiamo ad elencare i casi di ordinaria violenza poliziesca e statale, per farlo sono sufficienti volantini e comunicati o una lettura attenta della stampa, tuttavia il discorso diventa ostico, ma da parte nostra stimolante e utile per predisporre la risposta di classe, se proviamo invece a riflettere sulle ragioni economico- politiche della repressione stessa.

Senza andare indietro di troppi anni è innegabile che ogni legislazione speciale nasce in momenti storici particolari, tanto maggiore è stata la lotta sociale e sindacale, tanto diffuse le proteste dei movimenti organizzati quanto cruenta la risposta dello Stato.

Non pensiamo di scoprire l’acqua calda asserendo che il picco della repressione è arrivato a fine anni Settanta, le legislazioni emergenziali dell’epoca sono rimaste parte attiva nell’ordinaria amministrazione della Giustizia italiana, le leggi speciali sono divenute con il tempo ordinarie e hanno spianato la strada a nuovi interventi legislativi atti a restringere gli spazi di democrazia, partecipazione e libertà di movimento e di organizzazione. Le Leggi Reale e Cossiga hanno spianato la strada alle norme repressive contro le rivolte nelle carceri, le norme antisciopero dei primi anni novanta sono servite a combattere il conflitto nei luoghi di lavoro e quando sono nate nuove forme di organizzazione nella logistica puntualmente hanno varato norme per punire con anni di carcere picchetti, manifestazioni di piazza, blocchi ai cancelli delle fabbriche e dei magazzini. Contesti storici diversi come differenti erano i rapporti di forza ma esiste una sorta di continuità nella risposta statale alla lotta di classe all’insegna della repressione.

Se guardiamo ai luoghi di lavoro avere accettato il dogma della produttività in cambio di briciole salariali ha condotto la classe lavoratrice in una strada a fondo chiuso disarticolando anche la critica radicale al modo di produzione, allo sfruttamento.

Avere accettato i codici di comportamento e i codici etici aziendali ha permesso alle associazioni datoriali di avere un’arma straordinaria per colpire le avanguardie nei posti di lavoro, in nome della fedeltà aziendale sono stati perseguiti, isolati e licenziati quanti si erano contraddistinti nelle lotte rivendicative o avevano semplicemente scelto di non piegare la testa svolgendo il loro ruolo di Rappresentante dei lavoratori alla sicurezza o di delegati sindacali guardando essenzialmente agli interessi della forza lavoro.

Con la guerra e il sostegno dell’Italia alle ragioni economiche della stessa sta per arrivare una nuova stagione repressiva e prova ne sia l’ennesimo emendamento presentato in Commissione parlamentare al ddl sicurezza da parte di un deputato della Lega che propone l’inserimento di una nuova aggravante dei reati contro la pubblica incolumità che sembra ritagliata sulla variegata rete di attivisti che da anni protestano contro le grandi opere. Se questo emendamento passerà arriveranno pene dai 4 a 25 anni di carcere che andranno ad aggiungersi agli anni di carcere previsti per chi organizzi occupazioni di case e di immobili per sottrarli alla speculazione, per quanti organizzano picchetti o blocchi della produzione.

La Lega e ampi settori del centro destra hanno un obiettivo ambizioso: riprendere i pacchetti sicurezza vigenti e prevedere pene ancora più severe  e nello specifico anni di carcere per chi protesti contro le grandi e inutili opere, ieri con la Tav e un domani con il ponte sullo stretto. Siamo davanti alla ennesima e ulteriore svolta autoritaria e repressiva nei confronti di chi dissente dalle politiche del governo e sceglie di organizzare proteste senza limitarsi a enunciare una critica scissa da azioni concrete e conseguenti.

25 anni di reclusione per chi protesti in modo “minaccioso o violento” contro le grandi opere infrastrutturali significa mettere in carcere quanti parteciperanno a occupazioni di terreni a manifestazioni di boicottaggio contro una opera inutile e dannosa sulla quale Salvini e la Lega basano le residue speranze di avere voce in capitolo nelle scelte di Governo.

La proposta di emendamento è costruita ad arte prevedendo aggravanti dei reati di resistenza, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o a un corpo dello Stato, in questo modo pensano di tacitare una protesta che già sta coinvolgendo ampi settori popolari e della società. Oggi questi reati arrivano anche a condanne pari a 7 anni, un domani le pene potrebbero essere quasi quadruplicate rispondendo con il carcere e la repressione alle proteste di piazza.

Non sfugga alla nostra attenzione che le aggravanti riguardano azioni commesse da gruppi superiori a 5 persone, anche azioni simboliche potrebbero essere investite da operazioni giudiziarie consentite da un codice penale che nel corso degli anni è stato arricchito di molteplici reati. Se il codice Rocco di epoca fascista era oggetto di critiche negli anni sessante e settanta oggi i partiti al Governo fanno a gara per renderlo sempre più aspro e repressivo facendo impallidire perfino le norme emanate in epoca fascista. Un futuro dispotico all’insegna della repressione sta costruendo inventandosi volta per volta i nemici di turno e tra quei nemici saremo annoverati noi tutti\e.

 “Se la violenza o minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, la pena è aumentata da un terzo a due terzi”. Ci chiediamo cosa potrà succedere davanti alla costruzione di un rigassificatore o di una base militare ritenuta opera pubblica all’insegna del processo costante di militarizzazione dei territori.

Se l’emendamento verrà approvato e se il nuovo ddl sicurezza diventerà legge saranno oggetto di feroce e inaudita repressione anche le manifestazioni simboliche, sarà sufficiente considerarle “minacciose o violente” per subire condanne fino a 25 anni di carcere.

Quanto sta accendo nel nostro paese dovrebbe indurci a comprendere la natura tipicamente repressiva delle politiche adottate, il codice penale è lo specchio di una società nella quale i processi decisionali sono sottratti alla cittadinanza e imposti da convitati di pietra formati da politici e gruppi economico finanziari dominanti

Al contempo il Governo di classe vuole punire fino a 4 anni di carcere  i lavoratori che in occasione degli scioperi mettano in atto i cosiddetti picchetti, schierandosi all’ingresso delle aziende per ostacolare l’entrata dei colleghi o semplicemente di crumiri organizzati dai padroni.

La natura repressiva e di classe di queste proposte di legge conferma l’impianto repressivo adottato da anni come risposta alle proteste diffuse contro la chiusura di aziende, magazzini e fabbriche, contro le politiche di devastazione ambientale che minano la nostra salute e sicurezza sociale.

E in un parlamento blindato sarà assai difficile far valere punti di vista differenti, del resto la riforma del sistema elettorale è stata pensata per costruire maggioranze blindate creando un fosso invalicabile per ogni rivendicazione sociale e politica che decida di confliggere con gli interessi economici e politici dominanti.

E la questione della repressione deve essere assunta dai movimenti di lotta perché contrastare questo stato di cose diventa parte attiva della lotta di classe.

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